La strage di Bologna, Roberto Procelli


Fatico ancora a considerare un blog come un diario. Un blog, mi ricordano, è un diario. Non ci sono abituato, un giornalista non parla mai in prima persona. Il pudore va via dopo averci pensato una, dieci, cento volte, quando dentro non ce la fai più. Va via davanti a una lapide, lunga 85 nomi che ad ogni sguardo mi sembrano di più. La lapide di una strage, quella di Bologna. Ci vengo spesso a Bologna, per motivi personali. La mia compagna, Giulia, fa la hostess e ogni tanto si ferma qui, come in questi due giorni. Col treno è facile arrivare. Arrivare, partire; anche non tornare più. Come è successo a Roberto Procelli, un ragazzo di Anghiari, di San Leo, che il 2 agosto del 1980 aveva 21 anni.
 C'è sempre quel nome, scritto, non va via, come quelli dei dei bambini di sei, sette otto anni; come tutti gli altri, contadini e dottori: tutti uguali di fronte alla morte vigliacca di una strage fascista. Una delle più gravi del dopoguerra, una storia di depistaggi con Licio Gelli e la P2 coinvolte, Fioravanti e Mambro condannati. Una strage senza pace e che non la troverà mai la famiglia di Roberto. Un ragazzo che tornava ad Anghiari con la divisa (era di leva) per la sua prima licenza: una telefonata a casa che finalmente il treno arrivava, una sigaretta all'angolo della sala d'aspetto fra gente che parte per le vacanze: poi esplode la valigetta di più di venti chili messa da mani assassine a mezzo metro di altezza. La devastazione. Il girotondo di autobus blu e gialli davanti alla piazza che diventano ambulanze, duecento feriti in mezzo ai morti, fra cui Roberto, il primo a venire identificato perché al collo aveva quella medaglietta che ci mettevano quando eravamo militari.
I Procelli rifiutarono i funerali di stato, solo i militari a suonare il silenzio. A distanza di anni, di una infinità di anni che ci riportano a ieri,  fecero bene dopo la penosa ricerca del responsabile che sul momento sembrava una caldaia, poi no, i palestinesi e un infame depistaggio dei servizi segreti. Quel ragazzo però, lo pianse tutta la comunità anghiarese. E continua a farlo con consapevolezza. Un paese che è quasi un sopravvissuto, anche oggi, all'identità cancellata di comunità che ammazza ogni cittadina. Figuriamoci nella memoria. Il sindaco è uno sveglio, bravo: non manca anno che di persona va dalla famiglia. A Roberto è dedicato lo stadio, il circolo parrocchiale, una borsa di studio. Un concerto nella data della strage, mai banale di gente mai scontata, che resiste nel tempo. Ogni volta che giro l'angolo della bomba e le spalle a quella hall di seconda classe, la più popolare, vigliacco bersaglio di miserabili, infilo l'ipod con De Andrè: "“Hanno rimandato a casa le loro spoglie nelle bandiere, legate strette perché sembrassero intere”. Un concerto che rimarrà dentro per una vita.
Federico Sciurpa

4 commenti:

  1. Tanto di cappello, Sciurpa
    Paolo

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  2. Una famiglia che ha portato un immenso dolore con grande dignità. Giusto ricordare questo ragazzo e una strage in parte ancora da chiarire. Un articolo sentito
    Flavio

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  3. Ma lei pensa che ci nascondono qualcosa su quella strage?
    Vittorio

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  4. Allora Vittorio: ergastolo come esecutori dell'attentato, i neofascisti dei Nar Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, che si sono sempre dichiarati innocenti, mentre l'ex capo della P2 Licio Gelli, l'ex agente del SISMI Francesco Pazienza e gli ufficiali del servizio segreto militare Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte vennero condannati per il depistaggio delle indagini. Ultimo imputato per la strage è Luigi Ciavardini, anche a lui 30 anni in cassazione. Poi ci furono altre condanne per depistaggio. Fa riflettere molto una intervista du Cossiga al Corriere della Sera dell'anno scorso in cui ribadiva la sua convinzione secondo cui la strage non sia da imputarsi al terrorismo nero, ma ad un "incidente" di gruppi della resistenza palestinese operanti in Italia. Si dichiara oltresì convinto dell'innocenza di Francesca Mambro e Giuseppe Valerio Fioravanti.
    Grazie per il post

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