Un nuovo festival ma senza trucchi

Eravamo rimasti che non valeva la pena perdere Arezzo Wave per poi mettere su il suo replicante “in fasce”: Play Art. Un soggetto che comunque cresce, ma che va corretto, migliorato da cocciute brutture. Questa settimana il dibattito è andato ovviamente avanti ed ha trovato la presa di posizione forte e condivisa dei “piccoli” festival che questo territorio esprime. “Una rete di associazioni che sarebbe perfetta - si dice in una nota - per inventarsi un Play Art.”
La richiesta che va da Circù al Concerto per un Amico passando per Kilowatt e tanti altri, è quella di allestire un tavolo che è già pronto in commissione cultura. Alla fine dovrà uscire un progetto unitario, come uno dovrà essere il soggetto che si verrà a creare.
Propositi di costruzione insomma, per dare un senso a un Festival che adesso si chiama Play Art. Una creatura che a tre anni dal varo (necessariamente voluto, comunque forzato) porta un nome che non richiama Arezzo dove si svolge, fa flop con tutto ciò che non è “serata”, musica di richiamo. Quasi un “festival a tutti i costi”, mesto tentativo di imitazione dell’Arezzo Wave che è andato via dalla sua terra una volta divenuto maggiorenne.
Il Festival di Valenti non ha lasciato vedove, non ha bisogno di avvocati: vive con 60mila presenze in quattro giorni e fa ancora parlare il mondo di sè, purtroppo in un’altra città della Toscana e con un altro nome che cancella Arezzo: Italia Wave.
Il punto non è più Arezzo Wave che con trasversale soddisfazione di circoli buoni e certa sinistra non tornerà più, ma dare un senso, una identità, al soggetto che l’ha sostituito. Un Festival, il Play, con pochi tifosi (e quei pochi “a prescindere”) che adesso è giusto si confrontino con chi da anni fa arte con le briciole in terra di Arezzo. E’ giusto pensare a un nuovo Festival, organico, originale che non faccia il verso a quello che viveva qui tutto l’anno ed è perso, il vuoto incolmabile.
Si risparmi però alla gente che lo andrà a vedere un trucco. Anzi due. Il primo è di dare un contentino ai “piccoli” aprendogli una finestra nel contenitore Play. Il secondo quello di farne un altro di festival, senza senso.
Arezzo ha bisogno di un Festival con la “f” maiuscola: integrare, coordinare, non sommare o accontentare. Solo così questo momento di alta costruzione avrà un valore. Molto più di quello dei tifosi di un Play che avanti così rischia di ridursi a qualche bella serata di musica. Benvenuta, per carità, ma è un’altra storia.
Federico Sciurpa

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