Erpen e le piccole portafortuna

Solare, allegro e sorridente, parla benissimo l’italiano con l’accento sudamericano e ad Arezzo ha voglia di fare grandi cose. Horacio Erpen, attaccante, 28 anni tra un mese e argentino, è arrivato a Pieve Santo Stefano domenica, ma si è gia ambientato alla grande e promette una stagione da favola. Del resto il suo curriculum parla da solo. L’arrivo in serie B nel 2004 col Venezia e gli ultimi tre anni a Sassuolo dove ha collezionato ben 80 presenze, 32 soltanto nell’anno della promozione tra i Cadetti nel 2008. Ceravolo ha messo a segno un gran colpo accaparrandosi uno dei migliori attaccanti in circolazione per la categoria. Parola di chi lo ha visto giocare.“In ritiro ho trovato un’atmosfera importante, tanto impegno e voglia di fare - commenta - i giovani si allenano con serietà, la vecchia guardia anche. Mi hanno accolto tutti molto bene, per adesso sono in camera con Mazzoni, ma mi inserirò prestissimo nel gruppo”. Un gruppo che quest’anno ha intenzione di fare grandi cose obbedendo agli ordini del suo timoniere, Leonardo Semplici. “Il mister non lo conoscevo - spiega l’attaccante che viene da Sassuolo - ma ho dato uno sguardo al suo curriculum, breve e brillante, non c’è che dire”. C’è solo da augurarsi che ripeta i successi degli ultimi anni anche in sella al Cavallino. Ma Erpen, argentino puro sangue, sa che sarà così, per questo è stato felice di scendere di categoria per venire ad Arezzo. “Io ci credo in questo progetto ambizioso e sono stato contentissimo della chiamata dell’Arezzo”, tuona secco. Ma non è solo il progetto che lo ha convinto a spostarsi in Toscana, anche l’aria cittadina, tranquilla e a misura d’uomo. Adatta per far crescere tre bambine piccole. “Ho tre figlie - racconta a ruota libera - Chiara ha 4 anni e le gemelline Maia e Bianca, cinque mesi. Ho scelto Arezzo anche per loro, la città la conoscevo già, ho alcuni amici qui e anche lo scorso anno sono andato a trovarli. E’ il posto ideale per la mia famiglia”. Giusto il tempo di trovare casa e sistemare le cose e poi la sua donna, Ines, e le sue bimbe potranno stabilirsi in città. Forse già prima dell’inizio del campionato. Anche perché Chiara, Maia e Bianca sono i portafortuna di papà e il Cavallino ha bisogno anche di loro. “Non sono superstizioso - dice Erpan - non ho oggetti portafortuna o riti scaramantici, ma quando vado in campo le mie bimbe sono sempre lì a guardarmi”. Un fuoriclasse in campo, un padre amorevole e un marito romantico tra le mura domestiche. L’uomo dei sogni, insomma. “Quando io e Ines ci siamo sposati in Uruguay (lei è uruguayana, si sono conosciuti quando Erpen giocava nel Tacuarembó, ndr) durante la cerimonia abbiamo voluto “A te” di Jovanotti - ricorda - la canzone che meglio racconta la nostra storia”. Ma torniamo al calcio, a quello delle origini. “Ho cominciato a giocare che avevo 5 anni - torna indietro - mio padre giocava a calcio e a basket e io ho seguito le sue orme. Mamma invece era insegnante di pallavolo, ho respirato l’atmosfera sportiva fin da piccolo. Crescendo tra basket e calcio ho scelto il secondo e così eccomi qua”. E’ cresciuto nelle giovanili di Juventud Gualeguaychú e Boca Juniors, Horacio Erpen, per spostarsi in Uruguay nel Nacional e sfondare nella massima serie uruguayana col Tacuarembó. In Italia c’è arrivato grazie a Giulio Rivas, tecnico che aveva avuto modo di apprezzarne le qualità in Sudamerica e che allenava a Venezia. “Giocammo contro la sua squadra - spiega Erpen - lui mi notò e mi volle al Venezia. Così è cominciata la mia avventura italiana”. Un’avventura fatta di successi e soddisfazioni, nonostante quell’anno a Venezia non troppo fortunato tra retrocessione e fallimento. Ma nella stagione successiva spesa tra Chioggia Sottomarina (serie D, 13 presenze e 14 gol, ndr) e Triestina (serie B, ndr) fioccarono le conferme che lo portarono nel 2006 a Sassuolo. “In Emilia ho passato tre anni fantastici - spiega Erpen - l’anno della promozione è stato indimenticabile. Fu un’emozione straordinaria regalare la serie B a un paese così piccolo che mai aveva raggiunto palcoscenici tanto importanti. La festa, i tifosi che ancora mi ringraziano dicendomi che sono rimasto nei loro cuori, è stato davvero bello”. E poi a Sassuolo il nostro fantasista argentino ha avuto modo di stringere amicizia con due vecchie conoscenze amaranto. “Con Martinetti e Bressan siamo molto amici - spiega - ci siamo visti la settimana scorsa e anche loro mi hanno parlato molto bene di questa piazza”. Insomma, gli ingredienti per fare bene ci sono tutti. E allora non resta che indossare la maglia amaranto e lottare per arrivare in alto seguendo il modello di una vita. “A me è sempre piaciuto fare il trequartista e se c’è un giocatore a cui mi ispiro è Pablo Aimar - svela - adesso è al Benfica, ma prima giocava nel River Plate, la squadra argentina di cui sono tifoso. E’ il modello che vorrei imitare”. Molti direbbero El Pibe de Oro. “Aimar è un’icona da seguire, Maradona per un argentino come me, è il Dio del calcio. Inimitabile”
Federica Guerri

Nessun commento:

Posta un commento