Il vuoto di Arezzo Wave e tanti perché

Federico Sciurpa
Arezzo è un posto dove è bello stare anche ad agosto. Le notti (adesso) piene di gente come a luglio quando c’è la musica, i fuochi per San Donato con la folla da stadio e il venticello un po’ ruffiano che invita a riflettere. Il pensiero va sempre all’acceso dibattito in corso sulle politiche culturali della città. Una discussione produttiva che ormai da quindici giorni trova spazio su queste colonne. In concreto: la necessità di migliorare o cambiare del tutto Play Art, la richiesta di queste ore dei tanti e validi Festival aretini sommersi di “darsi un senso” e l’obbligo - perfino tardivo - di riaprire il teatro Petrarca. Soffermiamoci sui primi due punti. E’ doveroso.
Se ci fosse ancora Arezzo Wave d’altra parte, l’unico tema sul tavolo della cultura rimarrebbe il modo per far tornare gli aretini nel loro teatro. Invece c’è rimasto un buco. Sul Festival di Valenti però, il tempo, galantuomo, dopo appena tre anni ha chiarito più dinamiche di quante se ne potevano immaginare.Vale a dire che fu un grossolano errore politico-amministrativo della giunta di centrosinistra appena insidiata lasciarsi portare via un patrimonio (dopo 20 anni) come Arezzo Wave. Via - e con una certa superficialità - per creare un suo clone (malriuscito) partendo da zero. Il tempo che scorre inesorabile ha scoperto come sia rimasta delusa quella certa sinistra che aveva osteggiato - insieme ai punizionisti di ogni colore - un grande evento che portava Arezzo nel mondo. Magari anche per far arrivare più risorse ai Festival amici; poi però, rimasti rigorosamente nell’ombra una volta creato il Play. Il peccato originale che ha creato questo vuoto, è insomma ben definito e nasce da una incomprensione con Valenti dell’asse Brezzi-De Robertis che doveva essere certo evitato. Errore che per sette anni non si sognarono di commettere gli amministratori di centrodestra che anzi, da Macrì a Civitelli (due di An), esaltarono la kermesse.La dotarono di servizi (leggi campeggio), entrarono in una Fondazione assieme alla Provincia “sdoganando” (così si diceva da destra) Arezzo Wave. Significa che non caddero nella trappola ideologica di considerare la manifestazione una “cosa di sinistra”.Non si fecero prendere la mano dagli episodi di cronaca che stanno ai confini di una manifestazione di massa. Ci viene da ricordare che al casello dell’autostrada - per il concerto di Moby gratuito di qualche anno fa - si formarono venti chilometri di coda: musica e orgoglio che non erano nè di sinistra nè di destra, nè per ragazzi sudici, nè per ragazzi vestiti bene. Erano note e patrimonio tutti aretini. Arezzo Wave ora se la passa bene con un altro nome e in un’altra città della Toscana, non tornerà più a casa sua, ma è giusto chiedersi e ricordarsi perchè, a distanza di anni. “Passata la botta”, il dopo Arezzo Wave comincia solo adesso. Sbagliare ancora sarebbe diabolico.

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